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Quando la formazione fa la differenza

Scritto da  Renata Gualtieri in “Osservatorio sanità e salute,” periodico in abbinamento al “Giornale” del dicembre 2015

 

Sempre più medici si occupano di Medicina estetica.
Il dott.Emanuele Bartoletti,presidente della SIME, indica come sono cambiati negli anni i pazienti e le loro richieste e quali sono le priorità per il settore

 

La Medicina estetica nasce in Italia nel 1975 e aveva inizialmente interessato una élite

Così è rimasta, nonostante un graduale ampliamento del target, fino all’apertura dei primi ambulatori al mondo di Medicina estetica presso l’Ospedale San Giovanni Calibita, Fatebenefratelli a Roma, in collaborazione con la Scuola internazionale di Medicina estetica e con la Società italiana di Medicina estetica. Questo ha permesso, grazie alle tariffe agevolate e alla sicurezza dei trattamenti garantite dall’Ospedale, di allargare notevolmente la forbice degli strati sociali d’interesse della Medi cina estetica. «Da allora l’identikit del paziente che si rivolge al medico estetico è molto cambiato – dichiara Emanuele Bartoletti, presidente della Società italiana di Medicina estetica – è stato recepito il messaggio per cui la Medicina estetica se ben fatta è soprattutto una medicina di prevenzione che deve educare il paziente a gestire e prevenire i danni da invecchiamento generale e cutaneo e solo dopo correggere. Fino ad arrivare al momento in cui le madri portano in visita i figli adolescenti dai medici estetici per avere un inquadramento del proprio tipo di pelle e capire come potersi difendere dall’invecchiamento».

Ha potuto riscontrare delle carenze formative nella preparazione degli specialisti che scelgono di fare di questa disciplina la loro professione e come la Scuola di medicina estetica, di cui è direttore, viene a colmare queste lacune?

«La Medicina estetica è una disciplina medica e come tale in Italia può essere eseguita da chiunque abbia una laurea in Medicina e chirurgia. Per svolgere bene la professione però bisogna avere le competenze adeguate, come per qualsiasi specialità medica. La Medicina estetica ha però un problema di fondo: non è una specializzazione universitaria. La Società italiana di Medicina estetica negli anni si è resa conto di questa mancanza e nell’Anno Accademico 1990-91 ha dato vita, in collaborazione con la Fondazione internazionale Fatebenefratelli, alla prima Scuola di Medicina estetica della durata quadriennale, in modo che la scuola fosse il più possibile assimilabile a una specializzazione universitaria».

Si tratta di una specialità che non conosce crisi.

«Proprio così, mentre la Chirurgia plastica estetica negli ultimi anni ha subito un calo del 30 per cento, la medicina estetica è riuscita a mantenere i suoi numeri. Per questo molti medici si sono buttati in questo campo per cercare di “arrotondare lo stipendio” a fine mese senza però investire in un percorso formativo specifico, aumentando così la percentuale di danni causati perché non in possesso delle giuste competenze. Per limitare questi episodi la Scuola offre ai suoi iscritti la giusta formazione per poter svolgere la professione in maniera completa, cosciente e ragionata, per poter valutare il paziente in maniera corretta secondo i criteri del check-up medico-estetico prima di prendere qualsiasi decisione terapeutica, per saper prevenire, riconoscere e curare tutte le complicanze e per saper dire di no a pazienti che chiedono trattamenti per i quali non hanno indicazione».

In occasione della sua elezione a presidente della Società di medicina estetica ha dichiarato come un obiettivo fondamentale sia ottenere al più presto un riconoscimento del percorso formativo estetico a livello universitario.A che punto siamo in questa “battaglia” e quali le altre più importanti sfide per il settore?

«In questo momento in Italia, purtroppo, un riconoscimento universitario della disciplina ancora non c’è. L’ideale sarebbe avere una medicina estetica come specializzazione universitaria. Ma riuscire a raggiungere questo obiettivo credo sia molto difficile dal momento che la medicina estetica non è riconosciuta dal Servizio sanitario nazionale. Nel frattempo, sarebbe importante ottenere un riconoscimento da parte dello Stato almeno delle Scuole quadriennali di Medicina estetica che forniscono ai colleghi un livello di preparazione superiore a chi non ha seguito questo tipo di percorso».

Un altro degli obiettivi del suo mandato è rafforzare il rapporto di fiducia tra medico e paziente. Come è possibile perseguire questo intento?

«Il medico estetico è considerato al livello di altri specialisti sia per l’utilizzo del consenso informato sia per l’obbligo di mantenere una cartella clinica della persona che ha in cura e di dare al paziente prova dei trattamenti che sono stati su di lui eseguiti, rilasciando quindi riscontro del nome, numero di lotto e data di scadenza del prodotto utilizzato per la terapia eseguita, quindi anche la medicina estetica non può esimersi dal tutelare questo tipo di rapporto. Inoltre il nostro interesse a oggi è rivolto al pubblico perché purtroppo non esiste ancora una legge in Italia che dica che chi pratica la medicina estetica debba aver seguito un percorso formativo specifico. Ci rendiamo tutti, però, conto di quanto invece sia importante una formazione dedicata nella disciplina, proprio perché ci rivolgiamo a pazienti sani che non possono permettersi di diventare pazienti malati dopo essersi sottoposti a trattamenti di medicina estetica. La spinta per il medico estetico a iscriversi a una scuola superiore può venire proprio dai pazienti, che possono scegliere lo specialista proprio in base a questo requisito. Pazienti che sono sani e che non possonoe non devono rischiare di diventare “ammalati” a causa di trattamenti di Medicina estetica mal eseguiti».

La puntata di Report dal titolo “Belli da paura” ha indagato sull’universo della chirurgia e dei trattamenti estetici. Qual è la sua posizione riguardo alla mancanza di regole nel settore che è stato denunciata e alla definizione della medicina estetica come “terra libera”?

«Si fa confusione tra medicina estetica e chirurgia estetica che sono due discipline completamente diverse. La Medicina estetica è una disciplina medica per cui per definizione è meno aggressiva e invasiva della chirurgia estetica. La chirurgia estetica ha come unico punto d’incontro con il paziente il trattamento chirurgico, mentre nella medicina estetica il trattamento medico è solo il punto di arrivo e non di partenza. La chirurgia esaurisce la sua attività all’atto dell’intervento, mentre la medicina si può permettere di accompagnare il paziente nell’arco della vita per aiutarlo a prevenire e istruirlo a gestire il proprio patrimonio biologico. Poi è ovvio che la medicina estetica arriva fino a un certo punto nella correzione dei difetti oltre il quale c’è bisogno della chirurgia. È altrettanto vero che la chirurgia ha necessariamente bisogno della medicina estetica per rifinire e mantenere più a lungo il risultato dell’intervento. Sono quindi due discipline completamente diverse, che possono operare in sinergia ma che non sono alternative l’una all’altra».

L’unica cosa che hanno in comune è che in Italia non è obbligatorio aver seguito una specializzazione o un percorso formativo dedicato.

«Nonostante la chirurgia estetica abbia una sua specializzazione universitaria (chirurgia plastica), così come avviene per la Medicina estetica, che invece ne è sprovvista, in Italia ogni medico ha la possibilità di scegliere se praticare la medicina o la chirurgia estetica in maniera seria o non onesta. Quelli che vogliono svolgere la professione in maniera cosciente si iscrivono a una specializzazione in chirurgia plastica per fare il chirurgo estetico o a una scuola quadriennale di medicina estetica per fare il medico estetico. I meno corretti si buttano nella pratica senza preparazione per il solo piacere di guadagnare – ma non sarà un guadagno a lungo termine – rischiando oltretutto di rovinare la gente anche in maniera definitiva. Questo succede in tutti i campi, un semplice laureato in medicina e chirurgia può ad esempio eseguire un intervento di cardiochirurgia. La “terra libera” non vale solo per la medicina estetica che come possibilità formative, pur se ancora priva di specializzazione universitaria, è ormai assolutamente allineata alle altre discipline, ma è un problema di legislazione italiana».

Renata Gualtieri in “Osservatorio sanità e salute,” periodico in abbinamento al “Giornale” del dicembre 2015

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